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Boiler Summer Cup - La scusa della "ragazzata"

Si è parlato molto della Boiler Summer Cup, la terribile sfida social che sta dilagando tra i più giovani. La vittoria è legata al numero di ragazze sovrappeso rimorchiate e ad ogni peso corrisponde uno specifico punteggio: con 80/90 chili si ottiene un punto, con 90/100 chili due punti, 100/110 chili tre punti e più di 110 chili 5 punti. Naturalmente il tutto viene ripreso con la telecamera del telefono.


Questa challenge apre in realtà alla possibilità di approfondire molte possibili tematiche “psico”: il trauma, i disturbi alimentari, il bisogno di essere accettati… Ma tutte le volte che leggo di questa storia, me ne viene in mente solo una: dove si pone la linea di demarcazione tra bullismo e violenza?


Il Miur definisce bullismo “Un’azione di prepotenza e di prevaricazione, fisica o psicologica, ripetuta nel tempo e messa in atto da una persona più forte nei confronti di una più debole, che non riesce a difendersi”. Sembra, inoltre, che per parlare di bullismo ci siano degli specifici requisiti da seguire:


  • I protagonisti sono sempre bambini o ragazzi

  • Gli atti di prepotenza o aggressione sono intenzionali

  • C’è persistenza nel tempo

  • La vittima non sa, non riesce o non può difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette.


Quindi, basandosi su queste definizioni, il bullismo comprende atti di violenza ed è perpetrato principalmente da ragazzi. Se eliminaste il primo punto e sostituiste la parola “bullismo” con “stalking”... Quali sarebbero le differenze?


Se da una parte può aver senso fare distinzioni, dall’altra sembra che la ricerca di definizioni sempre più specifiche rischi di portare a sviluppare un’incapacità di guardare alle cose nel complesso. Tra l’altro, man mano che il tempo passa, le definizioni assumono un significato non necessariamente “letterale” ma implicitamente condiviso che rischia di far perdere di vista le sfumature.


Un esempio concreto? Quando si parla di “bullismo”, la maggior parte delle persone pensa immediatamente a dei giovani e inesperti ragazzi un po’ arroganti e prepotenti che fanno cazzate. A meno che non lo si abbia subìto, difficilmente la mente va a quei casi più estremi, in cui l’umiliazione si mescola con la violenza fisica, verbale e/o psicologica.


Questi sono gli ingredienti che si possono intravedere in questo indigesto minestrone estivo chiamato Boiler Summer Cup. Eppure, alcune testate giornalistiche continuano a non pronunciarsi, limitandosi a definirlo un fenomeno che “incoraggia al bullismo”.


Ed è qui che sorge la polemica: perché se davvero si vuole fare educazione ai più giovani, allora questa deve passare anche attraverso la scelta delle parole più appropriate. Non si tratta di una incosciente “ragazzata”, né tantomeno “incoraggia” al bullismo. Si sta parlando di azioni studiate, premeditate, irrispettose, che non tengono conto della sensibilità della persona che è di fronte.


Se si vuole utilizzare il termine bullismo, allora è necessario descriverne appieno le sfumature, la gravità e le ripercussioni, cercando di far passare il messaggio che il fatto di essere giovani non è una scusante, semmai un’aggravante.


Il rispetto di sé e degli altri non si impara “con il tempo”. È semmai attraverso un’educazione relazionale più ampia che comprenda una maggiore considerazione delle terminologie utilizzate che si può insegnare ai più giovani cosa significhi assumersi le proprie responsabilità.

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