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"Cocaweb" e il servizio del Tg1 - I videogiochi sono pericolosi?

Di recente al Tg1 il senatore di Forza Italia Andrea Cangini ha presentato il suo nuovo libro “Cocaweb”, in cui paragona Internet e i videogiochi alla cocaina. Il servizio ha fatto parlare molto di sé, creando scalpore soprattutto tra i gamers di Youtube Italia, i quali hanno criticato le parole utilizzate per descrivere il fenomeno.


In effetti, per quanto il senatore si sia fatto aiutare da “psicologi, neurologi, pedagogisti e grafologi”, alcuni concetti sono stati espressi in maniera estremamente approssimativa e, di conseguenza, fraintendibile. Non entrerò nel merito del contenuto del libro e degli studi presentati, ma mi limiterò a commentare il suo discorso, cercando di fare le dovute distinzioni e portare un po’ più di chiarezza sulla questione.


Il quadro è devastante, “Cocaweb” non è un’esagerazione. I neurologi ci hanno spiegato che i meccanismi chimici cerebrali innescati da un uso che non può che degenerare in abuso di social e videogiochi sulla mente umana, soprattutto sulla mente dei più giovani, sono letteralmente identici a quelli della cocaina. Si secerne l’ormone che trasmette la sensazione del piacere, per questo quella roba lì è più piacevole di qualsiasi altra per un adolescente mentre per un genitore è quasi impossibile o è difficile staccare il proprio figlio dallo smartphone”.


Già da queste poche parole emerge molta confusione.


I meccanismi cerebrali a cui si riferisce il senatore sono relativi al circuito della ricompensa. Cercando di essere brevi, funziona più o meno così: ogni volta che si propaga un impulso nervoso, si verifica un passaggio di neurotrasmettitori tra due cellule nervose definito sinapsi. Immaginatevi due bottoni posti uno di fronte all’altro: quando proviamo piacere in un’attività, come bere, mangiare o avere relazioni sociali, dal primo bottone viene rilasciata la dopamina, uno degli ormoni cosiddetti della “felicità”. Questa, prima di raggiungere il secondo bottone, attraverserà lo spazio che separa i due. La concentrazione dell’ormone in quello spazio è ciò che contribuirà a dare la sensazione di euforia. Quindi, ad esempio, il senso di piacere che provo nel mangiare un cibo che mi piace è dato anche dalla concentrazione di dopamina nello spazio tra i due bottoni, detto spazio intersinaptico. Dopodiché, il primo bottone cercherà di “riassorbire” la dopamina precedentemente liberata (reuptake) per inibirne l’effetto e ripristinare uno stato di equilibrio. Ecco, il motivo per cui la cocaina crea così tanta dipendenza è che questa sostanza modifica il normale funzionamento del circuito della ricompensa, impedendo al primo bottone di recuperare la dopamina e prolungando così la sensazione di piacere. Dal momento che questo cambiamento avviene a seguito dell'assunzione di una sostanza, è difficile che il meccanismo che si instaura nella dipendenza dai videogiochi possa essere "identico".


Detto questo, per quanto i meccanismi cerebrali coinvolti siano differenti, è vero che l’utilizzo persistente e continuo di qualcosa di piacevole può alterare la percezione del piacere stesso e portare il soggetto a sviluppare una dipendenza. Tuttavia, non ha senso dire che “un uso non può che degenerare in abuso” dal momento che sia nell’abuso che nella dipendenza entrano in gioco non solo fattori cerebrali ma anche psicologici e sociali appartenenti alla persona. Soprattutto, questo discorso può riguardare in egual modo sia gli adolescenti che gli adulti.

Ma andiamo avanti.


Non sono casi rari: in Italia si stima che ci siano 100.000 hikikomori. Ragazzi,anche 30enni, costantemente chiusi nelle loro stanze costantemente connessi ad una realtà che non esiste. Per ogni hikikomori che ne sono migliaia che hanno quella tendenza lì”.


È bene sottolineare una cosa: con il termine hikikomori si vuole descrivere un fenomeno per cui la persona sceglie di ritirarsi dal mondo sociale. Ci si rinchiude nella propria stanza e si interrompono il lavoro, la scuola e qualsiasi attività che preveda la relazione con gli altri. Da questo isolamento può conseguire una dipendenza da Internet, ma non è scontata e soprattutto non è necessariamente questo il punto di partenza dell’appena citata sindrome psicologica.


Chiunque abbia un figlio drogato sa di avere un problema e lo affronta. Noi tutti preferiamo non affrontare il problema dei nostri figli che non sono meno drogati dal web rispetto alle droghe tradizionali. Questo ci consente di non sentirci responsabili”.


Se qui Cangini ha ragione sull’importanza di non ignorare o banalizzare i segnali che i giovani mandano, soprattutto quando si è genitori, allo stesso modo non è altrettanto possibile banalizzare la questione puntando il dito contro il mondo del web. Per quanto ci siano sostanze che aumentano il rischio di sviluppare una dipendenza, tutto ciò che è piacevole può dare assuefazione, persino il cibo. Cercare di risolvere il problema a partire dai videogiochi è solo un altro modo per non affrontare questioni spinose: la sensazione di non essere capaci a vivere, la paura di gestire il confronto con gli altri e con sé stessi e, in quanto genitore, il timore di avere fallito.


Ci vuole coraggio e pazienza per prendere in mano la propria vita, così come guardare in faccia i limiti o gli errori commessi. Eppure, per quanto sia dura, si tratta di un passo fondamentale da compiere se si vuole diventare liberi. Anche togliendo tutti i videogiochi dal mercato, il rischio sarebbe sempre lo stesso: sviluppare altre dipendenze il cui denominatore comune rimarrebbero sempre e comunque le nostre fragilità.

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