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Dio salvi la regina - Il pezzo mancante

La regina è morta. Del resto, prima o poi doveva accadere.

Quanti meme e articoli sono stati creati sulla sua impressionante longevità? Quante battute sulla sua presunta immortalità? Eppure è successo. E, come sempre, ad ogni perdita segue un senso di vuoto che non si sa come colmare. La nostra realtà cambia da un momento all’altro e, improvvisamente, sentiamo che ci manca un pezzo.

Un pezzo che, quando scompare, rende dolorosamente evidente non solo l’assenza, ma anche quanto questo fosse diventato parte integrante di noi. Una consapevolezza preziosa, potente, che non tutti però hanno gli strumenti o il tempo di metabolizzare. Basti pensare a Carlo: nel giro di poche ore non solo ha perso la madre, ma è addirittura diventato re. Investito nel giro di poche ore di importanti responsabilità, non si è potuto nemmeno concedere il tempo necessario per elaborare il lutto.

La psichiatra Elizabeth Kübler Ross aveva teorizzato ben 5 fasi che attraversiamo durante il lutto. Inizialmente, ci si ritrova ad affrontare uno stato di negazione. Uno stadio che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è caratterizzato da chissà quali reazioni: lo shock della perdita è talmente improvviso e forte da portare la maggior parte dei soggetti a comportarsi come se nulla fosse accaduto.

Pian piano però la negazione lascia spazio ad una realtà sempre più innegabile. Ed è a questo punto che si entra nella fase della rabbia: il bisogno di dare la colpa a qualcuno è impellente. Le circostanze, la vita, gli altri, sé stessi… Nella mente cominciano a susseguirsi domande che, purtroppo, non otterranno mai una risposta: cosa avrei potuto fare per prevenire questa morte?

Si entra così nella fase del patteggiamento: da una parte i sentimenti di frustrazione sono ancora forti, dall’altra si cerca di capire su quali fattori ci si sente pronti a tornare ad investire emotivamente. Si tratta quindi di uno stadio fatto di alti e bassi, in cui la rabbia e la sofferenza spesso prendono il sopravvento sul desiderio di riprendere in mano le redini della propria vita.

Ciò fa sì che questo stadio si sovrapponga con quello della depressione. I tentativi di stare meglio si alternano a travolgenti momenti di tristezza. Si prende atto di ciò che si è perso, al punto da sviluppare sintomi anche a livello fisico: mal di testa, aumento o perdita di peso, irritabilità, ipo o ipersonnia. Purtroppo non è possibile definire a priori la durata di questo periodo: può durare settimane, mesi, per alcuni addirittura anni. Una cosa è certa: a prescindere dalla durata, chiunque si ritrovi in questa situazione si convince che questo supplizio non avrà mai fine.


E, in un certo senso, è vero: il dolore non scompare mai del tutto. Ciò che forse però molti non si aspettano è la sua incredibile capacità di trasformarsi. La nostra sofferenza acquista finalmente un senso e riusciamo a provare di nuovo interesse per ciò che accade nel mondo e per le persone attorno a noi. Si entra così nella fase finale dell’ accettazione. Si comprende che, per quanto possa mancare fisicamente, quel pezzo è entrato a far parte di noi ad un livello superiore, più profondo. Lo rivediamo nei piccoli gesti di vita quotidiana, nelle nostre azioni, nelle nostre decisioni. Ed è a quel punto che ci rendiamo conto che quel pezzo non solo è sempre stato con noi per tutto il tempo, ma che non se ne potrà mai andare via.

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