#Goblinmode - Fieri di essere trasandati
Avete presente Bridget Jones in pigiama, intenta a strafogarsi di gelato sul divano sotto le coperte? Ecco, lei è l’esatta rappresentazione di ciò che oggi verrebbe definito “Goblin Mode”, un termine usato per la prima volta nel 2009 scoppiato poi in un trend che ha preso velocemente piede su Instagram e TikTok.
Con l’espressione “Goblin Mode” ci si riferisce infatti a qualcuno che non solo non ha assolutamente voglia di uscire, ma che smette anche di curarsi della propria apparenza tra le mura di casa. In parole povere, la persona in questione si lascia completamente andare ad uno stato trasandato che non vede poi l’ora di condividere sui social. Ma perché questo termine ha avuto così tanto successo?
I più rivoltosi affermerebbero che una vita all’insegna della “sciattaggine” rappresenta un bel dito medio ad una società che ti chiede ogni giorno di essere semplicemente perfetto: palestrato, senza un filo di cellulite e con la fissa per le diete detox. Insomma, un modo alternativo (oltre che sovversivo) di dire “Io non ci sto a tutto questo”. Il potere della condivisione online, poi, ha trasformato questa tendenza anche in una ricerca di punti in comune con altre persone altrettanto contrarie a questa legge della perfezione. Un modo di passare da “Io me ne frego” a “Ce ne freghiamo insieme?”.
Per quanto si tratti sicuramente di un trend simpatico, l’elogio al disordine porta con sé il rischio di ignorare delle motivazioni sottostanti più profonde. Se da una parte la forza dei social sta proprio nel poter ridere insieme di sentimenti umani, come la ricerca del caos, dall’altra il consenso ottenuto attraverso questi mezzi di comunicazione può portare a costruirsi un personaggio e a non esplorare volutamente le ragioni dietro i nostri comportamenti. Ad esempio, chi ci dice che dietro un'apparente “Goblin Mode” non si celino invece i sintomi di una depressione?
Per capirlo sarebbe necessario un percorso di maggiore consapevolezza, in cui ci si pongono questioni ben precise: perché non mi sto prendendo cura di me? Si tratta di goliardia o c’è qualcosa di più? O anche, semplicemente… Perché faccio fatica a pormi queste domande?
Mettersi in discussione richiede tempo e sofferenza, quindi perché non aggrapparsi invece alla leggerezza di un hashtag accattivante che ha un effetto immediato sul nostro bisogno di riconoscimento e sulle nostre fragilità?
Il problema non è nemmeno del Goblin Mode o degli hashtag in generale: si possono celare mille ragioni dietro qualsiasi comportamento che scegliamo di attuare, così come dietro quelli che scegliamo di ignorare. Il peso di una vita che ci richiede di soddisfare certi standard, l’incombente senso di solitudine o una più profonda mancanza di amore verso sé stessi possono portarci a diventare particolarmente vulnerabili a tutto ciò che ci permette di voltare lo sguardo dall’altra parte.
Il problema non sono i social, ma come vengono usati. Se sfruttati in maniera critica, possono aiutarci non solo a condividere i momenti di goliardia, ma anche quelli più profondi e apparentemente incomunicabili. Possono diventare un’interessante lente di ingrandimento su fenomeni sociali che ci rispecchiano e dicono qualcosa di noi. Possono aiutare a distaccarci per un momento dalle emozioni da cui siamo travolti e provare ad assumere una panoramica più ampia, che ci permette di portarci a chiedere: perchè sono in Goblin Mode?