top of page

Il ciclo dell'amore con "Brividi" di Mamhood e Blanco

È successo quello che tutti un po’ si aspettavano: “Brividi” di Mamhood e Blanco ha vinto la 72esima edizione del Festival di Sanremo. Del resto, poteva essere altrimenti? Le voci dei due cantanti si combinano alla perfezione, dando vita ad una canzone intensa, piacevole da ascoltare e con un testo giovane, fresco, ma anche profondo e toccante. Già dopo la prima serata era in testa alle classifiche, con oltre 3 milioni di streaming.


Una vittoria meritata, ottenuta anche grazie alla loro capacità di parlare dell’amore: di quanto possa essere bello, romantico, totalizzante, ma anche confuso, frustrante e doloroso. I #Blamhood si sono distinti per la loro capacità di esprimere il miscuglio confuso e indefinito di emozioni che si prova quandi si è innamorati e che ti fa sentire sempre inadeguato.


Per questo mi sono trovata sinceramente in difficoltà all’idea di scrivere questo articolo. Avevo il timore di sminuire sia l’aspetto psicologico di questo sentimento che quello più umano di “pancia”, che è altrettanto importante se non fondamentale. Questo perchè, sebbene la psicologia ti aiuti ad avere una prospettiva esterna su ciò che sta accadendo, questa non prescinde dall’intensità delle emozioni percepite in quei momenti.


Mi sono posta, quindi, una sfida personale: far capire tramite questa analisi che cuore e testa possono andare insieme, senza escludersi a vicenda. Grazie a “Brividi”, cercherò di descrivere il tipico ciclo dell’amore, con la premessa che l’aspetto emotivo fa sì che i diversi stadi tendano a sovrapporsi e che ciò che rende unico questo sentimento è proprio il viverselo da dentro.

Partiamo allora con la prima fase, la più famosa di tutte nonché la più idealizzata: l’innamoramento. L’altro diventa il senso della nostra esistenza, la persona che ci fa volare “su una bici di diamanti” in alto, verso un cielo fatto di estasi e idealizzazione. Finalmente le cose attorno a noi assumono un colore intenso in quel deserto piatto che è la vita. A quel punto, le nostre attenzioni sono spostate sull’oggetto del nostro amore, un essere perfetto a cui vorremmo “rubare un cielo di perle”.


Tutto sembra fantastico, finchè l’innamoramento non si trasforma in qualcosa di diverso. Quel rapporto che ci faceva sentire come sotto un incantesimo, ora comincia a farci stranamente male. È come se, da un momento all’altro, cominciasse ad aleggiare un’aura negativa sulla relazione: ci sentiamo vulnerabili, “nudi con i brividi”. Si entra così nella seconda fase, quella della disillusione. Diventa ancora più chiaro che quella stessa persona che credevamo perfetta è, in realtà, un essere umano con pregi e difetti. “Tu, che mi svegli il mattino, che mi sporchi il letto di vino, che mi mordi la pelle con i tuoi occhi da vipera. Tu sei il contrario di un angelo, sei come un pugile all’angolo”.


Questo ci risveglia dallo stato di sogno in cui ci eravamo accoccolati, facendo sorgere un tremendo dubbio: “chi sei tu per davvero?” È una fase estremamente frustrante: quella stessa persona che credevamo di aver capito appieno, che ci rispecchiava completamente, ora non la riconosciamo più. “Mi hai detto sei cambiato, non vedo più la luce nei tuoi occhi”. A questo punto, si realizza che due parti distinte coabitano dentro di noi: la consapevolezza di essere dipendenti dall’amore dell’altro e il dubbio di essere i soli a provare questo sentimento. È uno stadio logorante ma allo stesso tempo cruciale, in cui è importante rendersi conto che non è chi amiamo ad essere cambiato, ma è la nostra percezione delle cose ad essere diversa.


Tuttavia, il turbine di emozioni contrastanti non aiuta a rendere chiaro questo aspetto. Subentra quindi la terza fase, quella dell’autoaffermazione. Si sente la necessità di mettere bene in chiaro le cose: “sì, forse sono un po’ dipendente da te, ma ho anche io una mia individualità, sai?” Ci si concentra quindi sulle proprie attività, talvolta escludendo l’altro e cominciando a percepirlo quasi come un ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi. A questa ribellione, tuttavia, si frappone il nostro bisogno di sentire che è lì per noi. “Ora ho capito che non sei l’essere perfetto che immaginavo ma, a maggior ragione, confermami che mi ami per ciò che sono”. Realizzare che si è due persone distinte fa sentire ancora più vulnerabili, proprio perchè il partner non è più il frutto della nostra idealizzazione e, per questo, non dà più la stessa serenità. Non sono più io ad amarmi attraverso l’altro, ma è l’altro che può scegliere di amarci o meno. Si accendono, quindi, infuocate discussioni: “Provo a restarti vicino, ma scusa se poi mando tutto a puttane. Non so dirti ciò che provo, è un mio limite. Per un ti amo ho mischiato droghe e lacrime”. La coppia è stanca: si ama ma, allo stesso tempo, non ce la fa a comunicare. Vorrebbe tornare a stare bene come una volta, ma sembra non trovare gli strumenti per farlo. “Questo veleno che ci sputiamo ogni giorno io non lo voglio più addosso [...] Ti vorrei amare ma sbaglio sempre”.


In tutte queste fasi, più che mai si manifestano i meccanismi di difesa della scissione e della proiezione. La prima è quella che “scinde”, appunto, la percezione che si ha dell’altra persona. Non esistono sfumature: o posso sentirmi al sicuro o sei un nemico che mi vuole fare del male. È allora che si proiettano le proprie insicurezze per difendersi: non sono io ad avere paura di non essere amato, sei tu che non mi ami, tu non mi dimostri abbastanza, tu non ci tieni a me.


Quello dell’amore è un processo tumultuoso e faticoso. Eppure, come detto all’inizio, c’è anche molta poesia. Alla fine, stiamo parlando di sentimenti profondamente umani, in cui c’è il bisogno da una parte di affermarsi per ciò che si è e, dall’altra, quello di sentirsi vivi grazie alle conferme dell’altro. Questo si traduce in un’affascinante contrapposizione tra il desiderio di dare tutto e, allo stesso tempo, l’egoismo di ricevere altrettanto. Come si fa a trovare un equilibrio in questo alternarsi di sentimenti così intensi?


Ed eccoci quindi arrivati alla conclusione della sfida. A questo punto, in molti potrebbero pensare che il segreto stia nel razionalizzare o nel cercare di cambiare una di queste fasi. In realtà, è proprio l’opposto: bisogna lasciarsi trascinare dal turbinio del rapporto, pur rimanendo vigili su ciò che sta accadendo dentro di noi. Questo significa amare e lasciarsi amare, viversi a vicenda fino in fondo, per poi da lì riflettere sulle nostre reazioni e quelle dell’altro. Non reprimere le proprie emozioni ma saperle ascoltare e usare in modo costruttivo con il nostro partner. Riuscire a diventare abbastanza consapevoli per spostare il discorso da “Tu non mi ami” a “Sono io che penso di non essere amabile. Per questo ho paura che tu possa non amarmi: perché io mi disprezzo e penso che lo possa fare anche tu”. Insomma, imparare ad amare non solo con il cuore ma anche con la testa. È a quel punto che sbagliare sempre farà sì sentire inadeguati, ma diventerà anche una importante risorsa per la coppia.

390 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page