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La Sindrome da Alienazione Parentale - Il caso di Laura Massaro

Tra lo schiaffo di Will Smith, l’aumento dei casi Covid-19 e la guerra in Ucraina in pochi si sono interessati al caso di Laura Massaro e all’importante sentenza della Corte di Cassazione. La Sindrome da Alienazione Parentale (PAS) è stata infatti definita “non legittima”, stabilendo così che l’affido esclusivo di un minore a un genitore non può fondarsi solo su questa diagnosi. Ma in cosa consiste questa sindrome? E chi è Laura Massaro?


Il concetto di Sindrome da Alienazione Parentale (PAS) venne introdotto per la prima volta negli anni ‘80 dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner per descrivere una dinamica psicologica disfunzionale che avviene solitamente tra due coniugi che stanno affrontando una separazione. In questa dinamica uno dei due genitori, definito “alienante”, incita il figlio ad allontanarsi dall’ex partner attraverso una manipolazione psicologica fatta di insulti e denigrazioni. L’obiettivo è quindi quello di costruire con il bambino un rapporto esclusivo alimentando in lui un sentimento di odio e disprezzo verso l’altro genitore, il quale nel tempo diventa sempre più “alienato”.


Il caso di Laura Massaro in passato ha fatto parlare di sé proprio per questo motivo. Dopo aver accusato l’ex compagno di stalking nel 2013, la donna è stata definita qualche anno dopo dalla CTU (Consulenze Tecniche d’Ufficio) un genitore alienante. I consulenti hanno infatti ritenuto che il figlio fosse stato manipolato psicologicamente dal momento che la sua posizione contro il padre era considerata eccessivamente denigratoria per un bambino di soli 7 anni. Oltre a questo, la sua ostilità non sembrava fosse supportata da una valida ragione di fondo. A questa sentenza sono seguiti ben 9 anni di dolore e patimenti in cui la Massaro ha rischiato più volte di perdere la custodia del proprio bambino.


Oggi, però, le cose sono cambiate: la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della donna, sottolineando che la bigenitorialità non può essere imposta senza tenere conto del benessere del bambino e condannando l’uso della forza per sottrarre il minore dal luogo in cui risiedeva. Soprattutto, ha definito l’alienazione parentale “priva di fondamento scientifico” dal momento che nè il DSM-5 (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) nè l’American Psychiatric Association (APA) la considerano una vera e propria malattia.


Questa può quindi essere considerata per Laura una vittoria a tutti gli effetti. Tuttavia, il caso Massaro è riuscito a porre luce su un tema che rimane ancora oggi particolarmente spinoso. Da una parte, infatti, questa sindrome è stata spesso invocata nei tribunali inopportunamente, anche solo nei casi in cui non vi fosse una comunanza di idee riguardo la crescita del bambino. L’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza” ha confermato questo aspetto, riferendo quanto questa sindrome venisse comunemente utilizzata “dai padri maltrattanti nelle aule giudiziarie per screditare le donne che in sede di separazione richiedono protezione a favore dei figli che si rifiutano di incontrare il padre perché traumatizzati dai suoi comportamenti violenti”. Tuttavia, dall’altra è innegabile quanto una manipolazione psicologica possa pesare sulla vita di una persona. Nello specifico di un minore, poi, non solo può impattare sul rapporto con il genitore alienato ma anche sulla sua crescita personale e sul suo modo di interpretare le relazioni in generale. Eppure, è sempre estremamente difficile individuare qualcuno che è stato manipolato… Come si può delineare con precisione la linea che divide l’influenza dal parere personale?


Si crea una situazione contorta per cui la Sindrome da Alienazione Parentale rischia di diventare una comoda scusa non solo per chi vuole simulare una condizione di manipolazione, ma anche per chi vuole esattamente l’opposto, ovvero celare una manipolazione effettivamente avvenuta. C’è inoltre da aggiungere che spesso chi è autore di una manipolazione psicologica non ne è pienamente consapevole, come ad esempio nei casi in cui il soggetto presenti tratti narcisistici o psicopatici.


Se da una parte quindi questa Sindrome è stata considerata illegittima per via della difficoltà nella diagnosi, dall’altra non sarebbe potuta essere tenuta in considerazione proprio per via della sua nebulosità e dell’ampio ventaglio di elementi da tenere in considerazione? Insomma, sorge un dubbio: la Corte di Cassazione ha fatto bene?

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