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"Non sei normale" è diventato un complimento?

Non sei normale è il più bel complimento che mi abbiano mai fatto”.


Questo si legge su una tovaglietta di una nota pizzeria della provincia di Milano, famosa per dare “lavoro, formazione e dignità alle persone autistiche” come cita letteralmente il sito web.


Alla luce di questa premessa, la frase può immediatamente apparire più calzante. È invece il messaggio a risultare poco chiaro: che cosa vogliono trasmettere con queste parole?


Mi torna alla mente il film “Alice in Wonderland” di Tim Burton del 2010. Uno dei personaggi più amati di quella pellicola era il Cappellaio Matto, interpretato da Johnny Depp. Ricordo che fu soprattutto in seguito a quel ruolo che nacque la moda di elogiare la pazzia come un elemento caratterizzante della propria identità.

Tutti i migliori sono matti”, frase pronunciata dalla protagonista Alice, dominava la maggior parte dei profili Facebook. Il significato si trasformò ben presto in “Essere fuori di testa mi rende speciale”.


Ci sono due cose che mi hanno sempre fatto storcere il naso di questa narrazione. La prima è la creazione del messaggio “sei speciale se sei fuori di testa, altrimenti non lo sei”. La seconda è il poco rispetto mostrato nei confronti del dolore provato da chi con la propria “pazzia”, intesa come salute mentale, deve farci i conti ogni giorno.

Perché la verità è che chi sta male, ma male per davvero, desidera solo una cosa nella vita: essere normale. Uno stato idealizzato, frutto del profondo bisogno di trovare finalmente un senso di pace in una “terra promessa” che possa finalmente concedere loro un po’ di serenità. Ed è proprio qui che subentra la difficoltà del nostro lavoro: quella di spiegare che la “normalità” per come la intendono loro non esiste e che la pace è una conquista per tutti, anche se, purtroppo, per alcuni più difficile che per altri. Che questa idealizzazione deriva dall’esistenza della contrapposizione netta tra ciò che si considera rientri rispettivamente nel “normale” e nel “patologico”, alimentata anche da alcune narrazioni, tra cui… I migliori sono matti.


E qui torniamo alla frase della tovaglietta. Il concetto è molto simile: non essere normale è un vanto, mi rende unico. Se da una parte è vero che le più grandi battaglie hanno storicamente visto la necessità di imporsi di un’identità “forte” su quella vigente non accettante (basti pensare ai diritti LGBT+), dall’altra il rischio è quello di identificarsi talmente tanto con quella identità da trasformare il tutto in una contrapposizione di categorie senza possibilità di trovare punti in comune.

Le classificazioni, invece di essere appianate, finiscono per diventare una gara a chi è meglio, andando così ad eliminare quella preziosa complessità che caratterizza e che accomuna tutti noi in quanto esseri umani e riducendo i concetti di “normalità” e “pazzia” a dei complimenti.


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