Perché Fiorello ha smesso di far ridere? L'evoluzione della comicità
Avrò avuto circa 10 anni quando su Rai 1 andava in onda “Stasera pago io”. In casa si percepiva un senso di trepidazione: sapevamo benissimo che era uno spettacolo che non avrebbe cambiato le nostre vite, ma era comunque un modo di stare tutti insieme facendoci quattro risate. Oltre a questo, era risaputo che quello non fosse uno show come tutti gli altri: a quei tempi Fiorello era considerato una sorta di eroe nazionale dell’umorismo, l’unico e il solo. Ricordo ancora gli occhi estasiati di mia madre mentre ripeteva incessantemente: “È proprio bravo”. Perché oggi quella sensazione non è più unanime? Perché quelle battute che, un tempo, tenevano incollata mezza Italia allo schermo, ora provocano per lo più disagio? Perché Fiorello ha smesso di far ridere?
Partiamo con la definizione di “umorismo”. Il dizionario del corriere ci fornisce questa spiegazione: “Disposizione dell’animo portata a cogliere gli aspetti divertenti o grotteschi della realtà e sorriderne con ironica comprensione”.
La comicità richiede, dunque, una grande capacità di sapersi guardare attorno. Questo non include solamente conoscere i temi di attualità, ma anche possedere un acume osservativo ed una sensibilità che ti consentano di comprendere, appunto, come evolva il senso dello humor, stando al passo con i tempi.
Pensiamo, ad esempio, ai meme: sono pochissimi i genitori che ridono di cuore di fronte a queste vignette. Gli manca forse qualche rotella? No, semplicemente la loro comicità si è sviluppata in funzione dell’ambiente e del periodo storico in cui sono cresciuti. I tempi cambiano e, per quanto ci sia comunque la tendenza ad adattarsi, è difficile diventare figli di una generazione che non è la propria. Del resto, non è forse questo il motivo per cui li chiamiamo scherzosamente “boomer”?
Ecco, Fiorello sembra un “boomer” che non si dà pace. Ancora oggi viene annunciato come se tutti non stessero aspettando che lui, quando questa presentazione risulta forzata e anacronistica. O, meglio, forse lo sta aspettando chi è cresciuto con i suoi spettacoli e vuole ridere come faceva un tempo, ma per le altre generazioni le cose sono un po’ diverse. Chi è nato negli anni 90 è in quella fase di transizione in cui pensa “Ma come, non doveva far ridere? Io mi ricordavo facesse ridere!” e quelli degli anni 2000 che se lo calcolano davvero poco. Ovviamente si sta generalizzando e bisogna sempre tenere conto del fattore imprescindibile dei gusti personali ma, tolti quelli, questa diversità di opinioni fra le varie annate spiega solo una cosa: il mondo va avanti e lui è rimasto indietro. Per tornare a far ridere all’unanime come un tempo, dovrebbe rinnovare il suo repertorio e abbracciare una platea più estesa rispetto a quello a cui era abituato.
Ci sono, infatti, due elementi da tenere a mente affinché una battuta funzioni: l’imprevedibilità e conoscere il pubblico a cui ti stai rivolgendo. Questi due insieme ti consentono di diventare padrone della scena e di ribaltarla a tuo piacimento, senza risultare mai scontato.
È come se Fiorello avesse perso la capacità di guardare negli occhi i suoi spettatori o, comunque, che scelga di rivolgersi solo a quelli che gli fanno più comodo. La sua è una comicità pigra rivolta all’italiano medio nostalgico che vuole fare un tuffo nel passato ma non al pubblico più giovane che si avvicina al festival grazie agli influencer, ai cantanti e ai social. Tornando quindi alla definizione iniziale, questo lo porta a ridere su quegli aspetti che possono essere divertenti per lui forse, ma non altrettanto per quella realtà a cui non appartiene e che sceglie di ignorare. Insomma, manca la comprensione e, di conseguenza, la capacità di fare ironia in modo attento e sensibile.
In realtà, Fiorello è la perfetta pedina di un Sanremo che sta cercando (a volte goffamente) di tenere il piede in due scarpe, soddisfacendo i gusti del passato ma, al contempo, avvicinandosi a delle sonorità più moderne. Pensandoci, il problema forse non sta tanto nella sua comicità quanto nella presentazione che gli viene fatta: quella dello showman che intrattiene tutti come un tempo. Ritengo, invece, che sarebbe più realistico presentarlo come un bravissimo uomo di spettacolo che calza perfettamente la scarpa della generazione precedente ma che fatica ad infilare quella dei giorni d’oggi.