Prima di pensare "Reflect" - Disney e il Dismorfismo Corporeo
Ho un brutto naso.
Ho le cosce grosse.
Sono troppo basso.
Ammettiamolo: almeno una volta nella vita siamo stati poco clementi con alcune parti del nostro corpo.
Prima però di gridare alla famosa bassa autostima, sfatiamo il mito che per stare bene con sé stessi è necessario vedersi assolutamente perfetti: la frustrazione del confronto con l’ideale è una parte fondamentale della nostra crescita. Del resto, lo stesso Winnicott parlava di una madre che non doveva essere impeccabile ma “sufficientemente buona”, ovvero capace di rispondere ai bisogni del bambino ma anche di deludere le sue aspettative.
Insomma, detta in parole più semplici: è normale che alcune parti di noi non ci piacciano in toto.
Eppure, oggi non si fa che parlare di dismorfismo corporeo, o dismorfia corporea o dismorfofobia che dir si voglia. Bellissime attrici e donne di spettacolo, tra cui Megan Fox e Belen Rodriguez, hanno affermato di soffrirne. Il tema è stato affrontato anche sulla piattaforma di Disney + attraverso il cortometraggio “Reflect”, in cui una giovanissima ballerina di danza classica non può fare a meno di confrontare il proprio corpo con quello delle compagne. Si scruta, si osserva, tasta le parti di sé che non le piacciono… Si sente fuori luogo a causa della sua corporatura, che non rispetta i canoni di questa disciplina.
O almeno, così sembrerebbe, ma… Questo aspetto in realtà non è per niente chiaro... È effettivamente più “morbida” rispetto alle altre? O è tutto nella sua mente? Bo. Non ci è dato saperlo.
Ovviamente il corto finisce bene, con lei che riesce a superare delle metaforiche barriere del giudizio (effettivamente molto sceniche e ben fatte ma, del resto, stiamo pur sempre parlando di Disney) e ad accettare sé stessa.
Certo, tutto molto interessante ma… È abbastanza per poterla definire “Dismorfia Corporea”?
Stiamo parlando di un disturbo che Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) infila tra i correlati del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Si tratta infatti di un’ossessione verso una o più parti del corpo che genera un’ansia, per l’appunto, ossessiva verso difetti percepiti come tali. Giusto per intenderci, non è tanto un “Ho il seno piccolo, lo vorrei più grosso” ma piuttosto “Ho il seno piccolo, non valgo abbastanza”.
Già, perché alla fine, gira che ti rigira, è sempre a quello strato più profondo che si arriva: la paura di non essere abbastanza e il bisogno di essere accettati e approvati. Difficoltà esistenziali, impossibili sul momento da affrontare, che possono trovare sollievo solo attraverso le conferme dell’altro. Una sofferenza interiore che, invece di essere metabolizzata, si esprime attraverso l’odio su una parte tangibile come può essere quella del corpo.
Insomma, la morale di questo articolo vuole essere questa: dietro questo disturbo c’è un mondo e ogni diagnosi è fatto di un contesto e di vissuti che appartengono alla persona che li vive e, per questo, necessariamente da approfondire. Ovviamente sui manuali psichiatrici è possibile leggere una serie di criteri su elenco puntato, ma se li si prende alla lettera senza cercare di comprenderne gli aspetti più profondi diventano parole vuote e superficiali. Ergo, parlare di dismorfismo corporeo ricollegandosi vagamente ad un disagio che si può provare verso sè e il proprio corpo è come dire tutto e come dire niente.
Eppure, non si può negare, focalizzarsi su un’etichetta è sicuramente più semplice. Peccato che poi, quando si tratta di comunicare tutta la complessità che c’è dietro, si finisce per toppare alla grande. Soprattutto se ci si prova in meno di 5 minuti.