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Scontri studenti-polizia. Cosa c'è dietro quel manganello? La violenza come affermazione di sé

Aggiornamento: 3 feb 2022

Tutti stanno parlando degli scontri avvenuti lo scorso weekend in varie città durante le manifestazioni per ricordare la morte di Lorenzo Parelli, lo studente schiacciato da una trave durante lo stage. Alcuni degli studenti che erano in prima fila per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro sono, infatti, tornati a casa con lividi e ferite inflitte dalle forze dell’ordine. Ciò che ha creato maggiore sdegno è stata proprio la gestione del corteo e il ricorso ad una violenza che, molti concordano, non fosse necessaria. Da dove nasce quindi? Perché la polizia ha reagito in quel modo?


Negli anni ‘70 la psicologa americana Norma Feshbach aveva suddiviso l’aggressività in ostile e strumentale. La prima ha un carattere prettamente impulsivo e ha l’intenzione fine a sè stessa di creare un danno fisico o psicologico ad un’altra persona. La seconda, al contrario, è pianificata e volta al raggiungimento di un obiettivo ben preciso. Prendendo come riferimento queste due definizioni, dovremmo dunque supporre che le forze dell’ordine, in virtù del loro ruolo, avessero messo in atto un’aggressività strumentale, con l’intento di quietare gli animi eccessivamente burrascosi degli studenti. Tuttavia, ammettendo che l’obiettivo iniziale fosse quello… Siamo sicuri che non si sia trasformato in qualcos’altro? Qual è la linea sottile che segna non solo la differenza, ma anche un eventuale passaggio da un’aggressività strumentale ad una ostile?


Lo psicoanalista relazionale Michele Minolli riteneva che ciò che motiva la messa in atto dei nostri comportamenti è “l’affermazione a sè stessi e agli altri del proprio esistere e del proprio essere”. Ciò significa che, per quanto le dinamiche del gruppo possano avere un’influenza, sussiste in ognuno di noi un forte bisogno di esprimere il proprio senso di identità. Questo è, inevitabilmente, il risultato di componenti sociali e individuali che non solo portano a sviluppare una propria visione di chi si è, ma anche di come si dovrebbe essere in relazione alla società e alla nostra storia personale.


Riflettendoci, del resto, non è tanto diverso dalla protesta del sindacato autonomo di polizia avvenuta qualche tempo fa contro le FFP2 rosa. In quel caso la giustificazione era il rischio di “danneggiare l’autorevolezza di chi indossa la divisa”. Il succo è, più o meno, sempre lo stesso: in che modo una mascherina rosa mette a repentaglio l’identità professionale? Che significa essere autorevoli?


Si apre quindi un mondo composto da infiniti fattori, tutti riguardanti ciascuno dei carabinieri coinvolti nello scontro: la propria storia personale, le ragioni per cui hanno scelto il proprio lavoro, il modo in cui hanno vissuto il peso delle aspettative verso il proprio mestiere e verso il tipo di persone che si chiedeva loro di essere. Tutto questo porta ad avere un’immagine di sé stessi che rischia di essere fortemente connessa al proprio impiego (se non addirittura rafforzato) e a tutto ciò che rappresenta. Identificarsi con la propria professione non è necessariamente un male, a patto che questo non diventi l’unico elemento di sostegno del proprio senso di identità.


A quel punto, la questione non sarebbe più “fare” il poliziotto, bensì “esserlo”. Ogni potenziale minaccia all’autorità del proprio ruolo verrebbe percepito come un pericolo rivolto direttamente a sé stessi, quindi ben più grande. L’affermazione del proprio esistere si tramuterebbe prima di tutto in un’affermazione di potere, volta a difendere con le unghie e con i denti un’immagine costruita di sé, sostenuta dai tanti fili delle aspettative altrui. È lì che avviene il passaggio in cui l’aggressività, prima strumentale, assume un’ostilità che racchiude tante cose, tuttavia riassumibili in un senso di identità fragile, sostenuto più che altro dalla capacità degli altri di riconoscere la propria forza. La violenza, allora, diventa uno dei pochi strumenti di affermazione di sé, che trova degna espressione solo attraverso quel manganello.


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